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Cassazione, sezione Lavoro, sentenza n. 823 del 16 gennaio 2020.

Il contratto a termine che viene convertito dal giudice da “tempo determinato” a “tempo indeterminato”, pur ricadendo il termine apposto al contratto prima del Jobs Act ma trovando conversione dopo l’introduzione del D.Lgs. 23/2015, subisce efficacia retroattiva (ex-tunc) e quindi il “termine” (data di scadenza contrattuale) diviene nullo, come mai apposto. Il contratto risulterà a tempo indeterminato sin dall’origine proprio in forza della conversione ottenuta con procedimento giudiziario.

D’altronde trattandosi di conversione non poteva che essere ad effetti retroattivi, senza considerare il nuovo regime di tutela ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori nella versione novelletta dalla riforma Fornero (Legge n. 92/2012) e revisionata con le “tutele crescenti” del Jobs Act: la c.d. efficacia ex-nunc che nel caso in esame non trova applicazione e la nullità del termine investe l’intero contratto.

Testo di sintesi ed enunciazione pubblicato dalla Suprema Corte:

Il regime del cd. “contratto a tutele crescenti” si applica, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2015, ai contratti a tempo determinato stipulati anteriormente al 7 marzo 2015 solo ove gli effetti della conversione del rapporto – a seguito di novazione ovvero in ragione del tipo di vizio accertato – si producano in epoca successiva alla predetta data, restando irrilevante la data della pronuncia giudiziale dichiarativa dell’accertata nullità del termine.

Fonte della notizia (cliccare sul link): Dottrina per il lavoro

Link alla sentenza ufficiale sul sito della Cassazione (file PDF). Per giungere alla conclusione, cruciale è il paragrafo 4.3 alla quinta pagina della decisione, nonché il paragrafo 4.8, a pagina 7, sulla disparità di trattamento dei lavoratori che conseguirebbe se ci si basasse su una diversa interpretazione delle norme.

Peraltro nella sentenza si parla anche di licenziamento per un fatto contestato non sostanziale nei motivi, pertanto provocante l’illegittimità della cessazione del rapporto a prescindere dalle considerazioni legali di cui sopra (infatti, anche con la riforma Fornero prima ed il Jobs Act dopo, cioè a far data 7 marzo 2015, l’insussistenza dei motivi di licenziamento o l’ipotesi di motivi disciplinari che avrebbero dovuto generare una sezione conservativa in base al Codice Disciplinare aziendale, nell’ambito delle imprese in “tutela reale” continua ad applicarsi la reintegra o l’indennità sostitutiva a scelta del lavoratore, oltre al risarcimento del danno, superando le altre formule del riformato art. 18 St.lav.).