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antinomie, corona virus, coronavirus, DPCM, DPCM 22 marzo 2020, DPCM 22/03/2020, Governo, iorestoacasa, italia, lavoro agile, Ministero della Salute, Presidente Conte, Regione Emilia Romagna, Regioni, sospensione attività
Firmato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, che impone la sospensione delle attività produttive e commerciali ad eccezione di quelle classificate nei gruppi Ateco dell’Allegato 1 al decreto (che comunque potrà subire modifiche) e degli studi professionali.
Si cita anzitutto la prima parte dell’art. 1:
a) sono sospese tutte le attività produttive industriali e commerciali, ad eccezione di quelle indicate nell’allegato 1 e salvo quanto di seguito disposto. Le attività professionali non sono sospese e restano ferme le previsioni di cui all’articolo 1, punto 7, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020.
Pur evidenziando l’importanza di restare a casa, segnaliamo che nel decreto è indicata anche la prosecuzione delle attività necessarie per la filiera di quelle in Allegato 1, in ragione del fatto che una elencazione formale non può considerarsi esaustiva e rischierebbe di essere eccessivamente limitativa rispetto ai servizi essenziali e loro fornitori di beni, opere e servizi. Tuttavia è prevista, in una sorta di logica antielusiva, il requisito di una preventiva comunicazione al Prefetto da parte delle organizzazioni che intendono proseguire, fornendo dettaglio circa i beneficiari dei servizi che si ritiene di non dover sospendere (quindi conviene inviare un documento preferibilmente avente ricevuta di consegna, come la PEC, riportando il motivo di prosecuzione e la tipologia di servizio e soprattutto a chi è destinato); i beneficiari devono rientrare nelle classificazioni dell’Allegato 1.
Il testo dell’art. 1, comma 1, lett. d), recita:
restano sempre consentite anche le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’allegato 1, nonché dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali di cui alla lettera e), previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l’attività produttiva, nella quale sono indicate specificamente le imprese e le amministrazioni beneficiarie dei prodotti e servizi attinenti alle attività consentite
Si sottolinea altresì come venga comunque concessa la continuità con il lavoro agile (smart working) se e quando applicabile dalle aziende.
Sono altresì consentite, sempre con motivazione al Prefetto, le attività a ciclo continuo che correrebbero in grave pregiudizio con la chiusura degli impianti, nonché le attività di trasporto farmaci ed altre per le quali si rinvia all’elencazione del testo ufficiale del decreto e ai gruppi di classificazione Ateco dell’Allegato 1.
Anche la produzione e la vendita alimentare e la consegna (anche a domicilio) sono salve, in virtù del combinato disposto delle lettere e) ed f) dell’art. 1, ove si confermano i servizi essenziali con richiamo della legge n. 146/90 – che include i “beni di prima necessità” – e, in specie, si autorizzano nella lettera f) la produzione, commercializzazione e consegna di prodotti agricoli e alimentari. Tale assunto va peraltro letto insieme al decreto 11 marzo 2020 che non è superato o abrogato ma viene assolutamente salvaguardato nelle disposizioni finali dell’art. 2: le regole del D.P.C.M. 22/03/2020 vanno applicate “cumulativamente” con quelle del D.P.C.M. 11/03/2020. In esso vennero (e sono tuttora) limitate talune attività commerciali e della ristorazione, con la deroga rispetto alla possibilità della “consegna a domicilio” di beni alimentari.
Si ribadisce il divieto di spostarsi tra città togliendo il riferimento alla residenza al fine di chiarire che chi trovava momentaneamente in una zona fuori dal comune di residenza, ora dovrebbe starci per limitare il contagio; viene menzionata infatti la sola eccezione di esigenze lavorative, assoluta urgenza, motivi di salute:
b) è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute;
Il punto continua con l’eliminazione del riferimento alla casa di abitazione/residenza/domicilio dal precedente decreto che consentiva il rientro:
conseguentemente all’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 le parole “. E’ consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza” sono soppresse;
Diciamolo in parole semplici: restare a casa o comunque restare dove si è; evitare spostamenti inutili, anche se per tornare verso la famiglia in altra città. Tale divieto è coerente con l’ordinanza del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Interno, sempre di oggi (link al pdf).
Addentrandoci brevemente in analisi critica del testo, un errore di formulazione normativa è contenuto nel periodo iniziale della lettera a) dell’art. 1 nella parte in cui prima viene espressa la sospensione delle “attività produttive e commerciali”, quindi implicitamente escludendo quelle che non sono né produttive né commerciali in senso stretto, poi sembrerebbe confermare il campo ristretto riferendosi, diversamente, alle “attività professionali”: l’interpretazione in via di sostegno, a quanto pare stante la formulazione imprecisa, è alle professioni intellettuali (art. 2229 c.c.) di tipo autonomo e annessi studi professionali (art. 2229 c.c. e a quelle cosiddette “non regolamentate” o non “ordinistiche”). D’altronde si sta parlando di luoghi con un numero mediamente esiguo di persone. La locuzione normativa in commento entra in apparente conflitto con l’elencazione dell’Allegato 1 che comprende anche attività legali e contabili, di direzione aziendale, di architettura e ingegneria, di professioni varie insomma. Perché averle elencate se erano già escluse? Vista così potrebbe quasi sembrare che la dizione operata nasconda un significato più generico di “attività professionale” rinviando alle sole non sospese, ma non è così: l’aver utilizzato il termine “attività produttive e commerciali” in netto contrasto con “attività professionali” nella stessa frase e legando queste ultime a proseguire nel rispetto del precedente decreto dell’11 marzo – si noti l’utilizzo della congiunzione “e” nella prima citazione in alto in questa notizia –, rappresenta un indirizzo a tipologia di attività differente, e cioè proprio a quella dei professionisti necessari al paese e alle aziende per quanto di competenza e senza necessità di comunicazione al Prefetto non essendo una deroga indiretta ma una espressa esclusione dal divieto. Va comunque osservato che in questo modo, menzionando le “attività professionali” da una parte e l’elencazione di talune attività professionali d’intelletto nell’Allegato 1, permetta di concedere la prosecuzione anche a quei soggetti che non esercitano come liberi professionisti ma in forma societaria, su cui si riflette il codice Ateco.
Si poteva senz’altro scrivere meglio il testo del decreto ma è ovvio che la fretta non stia aiutando i dicasteri competenti e quindi bisognerà sorvolare sulle imprecisioni (anche se recheranno altra confusione…). Inoltre, alcuni sosterranno che si sarebbe potuto osare di più nella chiusura delle attività, ma su questo si evita ogni pensiero e commento non risultando opportuno e confidando nel buon senso collettivo e, quindi, restando a casa se possibile ovvero applicando con scrupolo le misure sinora dettate dallo Stato, dalle regioni, dai sindaci e dalle autorità sanitarie.
Per tutte le attività non sospese, il Governo procede a decretare l’applicazione del Protocollo d’intesa che era stato firmato con le Parti sociali il 14/03/2020, forse resosi conto della debole validità legale dell’atto: documento che sostanzialmente riportava misure già note (distanziamento sociale, igiene degli ambienti e delle superfici – tra le righe denominata “sanificazione” sostanzialmente per l’utilizzo di alcol – e attivazione di misure di prevenzione e protezione in base alle circostanze del caso). Sinceramente si ritiene che tale “forzatura” si potesse evitare, anche perché ormai già stato discusso come quel Protocollo non sia perfetto e soprattutto sia criticabile per aver dimenticato di menzionare i Responsabili del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP) tra i soggetti attivi nella concertazione aziendale sollecitata nelle ultime pagine.
Tornando al D.P.C.M. 22/03/2020, il Governo, non avendo altri criteri comodi, probabilmente ha optato per una selezione di codici di attività ancorché la codifica Ateco abbia valenza statistica ai fini fiscali e non costituisca requisito assoluto di operatività di una qualsiasi organizzazione economica e di lavoro (d’altronde non è insolito trovare aziende con codici non più pertinenti, incompleti, invertiti tra primario e secondario in base all’evoluzione dell’attività ed altri fenomeni di formalità inadeguata). Ma ormai questi codici Ateco diventano un dato sempre più utilizzato ed osservato per finalità varie.
Sulla decorrenza e validità, intervengono le disposizioni finali dell’art. 2:
1. Le disposizioni del presente decreto producono effetto dalla data del 23 marzo 2020 e sono efficaci fino al 3 aprile 2020. Le stesse si applicano, cumulativamente a quelle di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 marzo 2020 nonché a quelle previste dall’ordinanza del Ministro della salute del 20 marzo 2020 i cui termini di efficacia, già fissati al 25 marzo 2020, sono entrambi prorogati al 3 aprile 2020.
Le aziende sospese per effetto di questo decreto hanno tempo fino al 25 marzo per completare le “attività necessarie alla sospensione, compresa la spedizione della merce in giacenza” (art. 1, comma 4).
In ultimo ma di estrema importanza, informiamo che qualora ci si trovi ad una antinomia tra decreto odierno e precedenti atti (decreti, ordinanze, …) delle Regioni ed enti locali, bisognerà considerare la validità secondo criterio gerarchico ma con integrazione suppletiva territoriale: decadono eventuali deroghe o “concessioni” – qui intendendo le attività aperte o le libertà concesse – deliberate da Regioni e Comuni, mentre restano valide le maggiori restrizioni (già definite o che decideranno di definire) rispetto alle limitazioni stabilite dal Governo italiano. Gli atti di livello territoriale infatti non sono da intendersi superati in toto, ma solo nella parte in cui il decreto statale impone una maggior limitazione, mentre gli altri divieti imposti da Regioni e Comuni e province autonome restano in vigore. Si salvano così l’autonomia amministrativa dettata dall’art. 118 Cost. e la supremazia statale sostitutiva ex art. 120 Cost. per motivi di salute pubblica nazionale, in rapporto coordinato rispettoso dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione (*).
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Fonte: Sito del Governo, notizia sul D.P.C.M. 22 marzo 2020
Testo del decreto (pdf) e Allegato 1 delle attività non sospese (pdf)
Ordinanza 22 marzo 2020 del Ministero della Salute (pdf)
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(*) AGGIORNAMENTO: Nel periodo di emergenza Covid-19 le antinomie trovano una nuova soluzione: art. 3 D.L. 19/2020 (incostituzionale?)